Cosa ho imparato ad Arles, Les rencontres 2011.

Dopo un inizio estate un po’ in sordina, Luglio è stato un mese molto movimentato.Sono partita a bomba con una settimana in Francia, per l’apertura del festival di Arles: giorni intensissimi tra mostre, incontri, conferenze a cui ho partecipato con grande coinvolgimento. Uscirà presto su Jumper Magazine (issue 3) un mio articolo sull’evento.
Un grazie a Luca Pianigiani che mi ha dato la possibilità di dare il mio contributo alla webzine per fotografi professionisti più hot del momento, sempre al top delle vendite su Itunes. Tutte le info su jumper, jumper magazine, gli abbonamenti jumper premium e tutto quanto con grande passione e talento Luca fa, qui
Les rencontrers di quest’anno appare segnare definitivamente lo spartiacque tra l’epoca pre-internet e l’epoca internet: beh bella scoperta direte voi! ed effettivamente questa presa di coscienza internazionale, arriva un po’ tardi rispetto alla velocità con cui il web e le tecnologie ad esso collegate hanno invaso il mondo della fotografia. Arles diviene palcoscenico di artisti fotografi che usano la rete come fonte da cui attingere materiale da rielaborare, trovando un nuovo linguaggio con cui riflettere sul contemporaneo. Se leggete il manifesto del festival risulta palese come Arles si ponga in maniera assolutamente ottimista nei confronti della diffusione della fotografia attraverso il web: vedendola come un elemento di incremento della creatività e non come un appiattimento. Arles mi ha riempito di contenuti e di immagini e, sinceramente lo sto ancora metabolizzando. Vi rimando a Jumper Magazine se siete curiosi di leggere un resoconto sul festival.
Ma da fotografa e da artista ancora in fase di maturazione, Arles mi ha dato oltre a tutto questo anche una nuova presa consapevolezza sul progetto fotografico. Da mente semplice, ho sempre creduto che sarei diventata un’artista quando sarei diventata una brava fotografa. Ho scoperto che questa è una mezza verità. Ciò che dà ai progetti il valore che hanno, non è solo l’immagine in sè e per sè, quanto anche il lavoro intellettuale fatto sul concetto. Sembra una sciocchezza, ma in questa chiave di lettura, mi sono resa conto di quanto superficiali siano stati finora i miei progetti perché ad una ricerca fotografica, non è mai seguita una uguale o maggiore ricerca di contenuto. L’artista deve avere qualcosa da dire. Questo significa che al percorso artistico/tecnico si deve associare un percorso culturale ed umano. E’ per questo che confermo quanto precedentemente avevo già sospettato e cioè che non si nasce artisti ma lo si diventa. E’ ovvio che ci sono le eccezioni che confermano la regola: tutti i geni del passato lo sono, ma per tutti gli altri… E’ un’altra storia.
Il punto è che si fa un percorso culturale ed umano e si ha qualcosa da dire come contenuti e ci si associano immagini di spessore fotografico… Bingo! Si ha il top del top. Ma quando manca una delle due parti… beh il progetto non è completo. Mi si è accesa una lampadina e ho fatto tabula rasa sul passato. Ho deciso che ricomincio da qui.

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Sono Silvia Pasquetto, fotografa di persone. Lavoro come fotografa freelance a Padova e Venezia e realizzo ritratti personali e professionali, servizi fotografici di branding, commerciali e di moda.
3 comments
  1. sul finale del workshop con Benedusi mi si è accesa la stessa lampadina: tutto quello che avevo prodotto fino a quel momento era falso. ad un mese di distanza continuo a chiedermi da dove ricominciare, ma (forse) tutto questo interrogarmi è già strada.

  2. Certo. Non conta la destinazione ma il percorso: l’importante è camminare sempre con chi cammina più forte di te.

  3. Complimenti per la collaborazione con luca Pianigiani, collaborazione che conferma il tuo talento.

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